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10 febbraio, lezione della prof.ssa Caccamo per la giornata del Ricordo

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La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
La Rete delle scuole cremonesi aderenti al progetto Essere cittadini europei. Percorsi per una Memoria europea attiva  organizza ogni anno, nel giorno del Ricordo, una conferenza per diffondere la conoscenza di questi tragici eventi, con la corretta contestualizzazione, presso i giovani. Quest'anno l'approfondimento è stato affidato alla prof.ssa Giulia Caccamo docente di storia dell’università di Trieste.
Dopo un ampio excursus sulle vicende del confine orientale nei primi decenni del Novecento, la prof.ssa Caccamo ha posto l'attenzione sul primo eccidio, quello del 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell'intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un'italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali.

Con il crollo del regime i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Caccamo sottolinea che "vittime di queste prime violenze furono quegli italiani che agli occhi degli Jugoslavi potevano rappresentare in futuro una minaccia per la loro nazione: notabili, maestri, farmacisti, senza curarsi del fatto che fossero stati o meno fascisti". L'italianità costituiva un ostacolo alla visione di nazione-stato  Jugoslavo che Tito immaginava. Ad ogni modo non solo gli italiani furono infoibati, ma anche croati, sloveni; fu una operazione di pulizia politica e nazionale (più che etnica). Intanto sul confine le autorità tedesche occupanti costituirono la Zona d'operazioni del Litorale adriatico, deputata alle operazioni militari del Terzo Reich, che comprendeva, a partire dal settembre 1943, le Province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume. L'ordinanza di creazione delle "zone di operazioni" doveva rimanere segreta per non interferire con le trattative per la ricostituzione di un governo fascista al nord, ma le vere intenzioni della Germania nazista si palesarono nella loro efferatezza: rappresaglie crudeli, la deportazione della quasi totalità della comunità ebraica di Trieste.

Quando poi, nel 1945, il regime nazifascista crolla definitivamente, "Tito è consapevole - spiega la prof.ssa Caccamo - che se vuole ottenere la Venezia Giulia, l'Istria e Trieste deve accelerare "la marcia" e arrivare per primo. Giunti a Trieste i Titini organizzano la resa dei conti e la tragedia delle foibe riprende. Tra le vittime anche partigiani del cnl perché comunque, in quanto italiani, considerati pericolosi per l'identità della nazione Jugoslava". E' un periodo tremendo, come in ogni guerra civile, un periodo di delazioni e di paura. Le uccisioni proseguono fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. L'Italia ratifica il trattato di pace e la fascia costiera dell’Istria passa sotto amministrazione jugoslava (zona B); Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. Ecco perché i giovani e l'Italia oggi devono ricordare.

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