Tristano Matta
“Prof., ma non è giusto, perché si parla sempre delle vittime delle dittature di destra e mai di quelle dei totalitarismi di sinistra?” chiedono alcuni miei alunni.
Al Torriani non è così: dopo la conferenza sulla Primavera di Praga, oggi si è parlato delle foibe, per commemorare la Giornata del Ricordo, solennità civile nazionale italiana dal 2004. Due i relatori invitati dalla Rete di scuole superiori della provincia di Cremona, Essere cittadini attivi. Percorsi per una Memoria Europea Attiva:
- Tristano Matta, storico e ricercatore: “Il confine orientale, le foibe e l’esodo: 1918 –1954”.
- Fiore Filipaz, testimone dell’esodo giuliano-dalmata: “In quelle baracche si moriva di freddo”.
La definizione del nostro confine nord-orientale con la Jugoslavia, soggetto a continue variazioni, causò molte vittime e molto dolore. Dolore che con lo scorrere del tempo aumenta, non diminuisce, afferma, introducendo la conferenza, la professoressa Calcic, fiumana.
Ci furono vittime in Istria, in Dalmazia e in Venezia Giulia: i partigiani slavi si vendicarono contro i fascisti e gli Italiani, considerati nemici del popolo. Ma non solo. Furono uccisi cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Torturarono, massacrarono, affamarono e poi gettarono nelle foibe. Pulizia etnica voluta da Tito, per eliminare dalla futura Jugoslavia gli Italiani e i non comunisti. Ma il professor Matta, dopo aver fatto una storia di queste regioni dall’impero asburgico in poi, contesta la definizione “pulizia etnica”. Egli afferma che furono i partigiani iugoslavi e la quarta armata dell’esercito di Tito ad occuparsi delle esecuzioni degli “oppositori”, anche sloveni però, secondo un disegno pianificato dai vertici del comitato di liberazione croato e sloveno. Il clima di paura e terrore fu claustrofobico. Le ondate di “infoibamento” furono due: la prima nel settembre del 1943 e la seconda nel maggio-giugno del 1945. Finita la seconda guerra mondiale, un obbiettivo dei vincitori fu Trieste, prezioso porto: il primo ad arrivarci fu l’esercito di Tito.
Anche gli esuli che tornavano in Italia patirono: non trovarono una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignorò, perché fuggivano da un paese comunista alleato dell’URSS. La classe dirigente democristiana fece lo stesso, banalizzando la tragedia delle foibe.
Fiore Filipaz, testimone-esule istriana, profuga italiana in Italia, come si definisce lei, racconta di dodici anni vissuti nel campo profughi di Padriciano (Trieste), di neve e baracche, di una sorellina morta di freddo, di mense e interminabili code, dei turni per fare i compiti (non c'era spazio!), del dolore della sua gente, fatta di individui grigi, con gli occhi vuoti, che disimparò a sorridere. Non poté studiare dopo la terza media, e di questo si vergogna davanti ai nostri studenti, non lo permisero al campo profughi. Lasciò il focolare istriano e, pur cercandolo, non lo ritrovò più; ne scoprì altri, ma nessuno fu in grado di scaldarla. Vorremmo ascoltarla ancora, domandare e abbracciarla…
La conferenza si conclude con un filmato del 1947, quando 27.000 Italiani abbandonarono Pola, la loro città. Colpisce come una frusta il loro dolore, come quello delle due testimoni di oggi: i Polesani trassero addirittura i loro morti dalle tombe, nel vano tentativo di portare via, con loro, le proprie radici.
Per rispondere ai miei alunni: a noi proprio non importa che le vittime siano di destra o di sinistra. Intollerabile è che l’uomo svilisca a tal punto sé stesso da farsi arbitro ingiusto della dignità e della vita dei suoi simili.
Lisa Nicòli, docente.
Fiore Filipaz