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Scuola: luogo per educare e crescere nella relazione

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Mercoledì 23 settembre 2020, presso la chiesa del seminario vescovile di Cremona, don Francesco Cortellini, nostro collega, ha celebrato una S. Messa di inizio anno scolastico. Pubblichiamo la sua omelia che sottolinea le questioni cruciali del compito educativo che ci attende e ci invita, in questo clima incerto, a puntare sull'autenticità delle relazioni.

S. Messa all’inizio dell’Anno scolastico 2020-2021

Pr 30,5-9; Sal 118 (119); Lc 9,1-6

 

Le letture ascoltate in questa Eucaristia celebrano la Parola, mediante la quale Dio si manifesta come uno scudo per chi si rifugia in Lui (I lettura), Parola che è lampada nel cammino della vita (salmo), Parola che è potenza da annunciare e mediante la quale si compiono guarigioni (vangelo), non solo il miracolo soprannaturale che trasforma le situazioni e guarisce le malattie, ma anche i tanti “miracoli ordinari” che la Parola di Dio realizza nella nostra vita, trasformando mentalità, aprendo prospettive, consolando nelle difficoltà, riorientandoci dai sentieri inconcludenti. 

Per ogni cristiano la Parola di Dio ascoltata e celebrata è il riferimento da cui trarre ispirazione per la vita, a cui aggrapparsi per non cadere. È dall’ascolto che nasce e si consolida la fede e la vita.

La Parola di Dio così forte e potente, non è una realtà astratta, iperuranica, sfuggente. Per noi cristiani la Parola di Dio ha un nome e un volto: Gesù di Nazareth, persona concreta, in carne ed ossa, vissuta in un tempo e in un luogo preciso dello spazio. 

Gesù è la concretezza di Dio che invita ciascuno di noi alla concretezza del possibile in questo tempo incerto per la scuola, non solo a causa del coronavirus, ma soprattutto per la marginalizzazione che alla scuola è riservata dalla politica e dalla società. 

La scuola, oggi, sembra essere cosa d’altri tempi, a cui è chiesto sempre di meno per la formazione del domani del nostro Paese, come un noto editorialista del Corriere della Sera scrive in un suo recente saggio dal titolo L’aula vuota, vuota non di persone, ma di futuro e di prospettive (cfr. E. Galli della Loggia, L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, Marsilio, Venezia 2019).

Dentro questo clima incerto, con questa celebrazione scegliamo di metterci in ascolto della parola dell’unico Maestro, perché imparando da Lui, noi adulti, illuminati dalla sua parola, da Lui che è la Parola, possiamo trovare una direzione ed essere sua luce riflessa per i nostri ragazzi. 

Facendo sedere Gesù in cattedra, possiamo riprendere tre espressioni che vengono dal suo rapporto con i suoi discepoli, per farle nostre, per lasciarci provocare nel nostro compito educativo. 

1. Nel Vangelo secondo Marco (cfr. Mc 3,14-19) sentiamo che Gesù sceglie i Dodici perché stiano con Lui e subito dopo l’Evangelista ci presenta il nome di ciascuno degli apostoli. Il rapporto di Gesù con i suoi è personale: gli apostoli imparano stando con Lui. Questo ci dice che l’educazione è questione di cuore, si istruisce trasmettendo contenuti e si educa mediante la relazione. Senza che ci sia esclusione fra l’una e l’altra. Ogni interlocutore di Gesù è per Lui un volto, una storia, mai un numero nell’elenco, bensì quel volto con il suo essere, i suoi bisogni, le sue risorse: Pietro con il suo entusiasmo, Giacomo e Giovanni con la loro esuberanza, Matteo con la sua storia di conversione e così via per ciascun apostolo.

2. Sempre nello stesso brano del Vangelo secondo Marco viene detto che i dodici sono chiamati per essere inviati. È questo invio che dà loro il nome di “apostoli”.  L’invio dice che il gruppo dei Dodici è aperto al mondo, così che il mondo è un riferimento imprescindibile a cui guardare per l’autenticità del rapporto fra Gesù e gli Apostoli. L’apertura verso il mondo è dimensione valida anche per la scuola, poiché la scuola non è un fine, ma un mezzo per attrezzare i ragazzi ad andare. “Li mandò” (Lc 9,2) dice il brando di Luca della Messa di oggi. Mandare, inviare, è anche il nostro compito: prepararli alla maturità, che non è tanto un esame, ma la sfida della vita, da affrontare ogni giorno sempre di nuovo. 

3. Infine è bello ricordare che Gesù si rivolge agli Apostoli chiamandoli “amici” (cfr. Gv 15,13-16). Chiamare i ragazzi “amici” non significa dissolvere la disparità, rinunciare ai ruoli, significa invece affermare che la nostra relazione con loro è una compromissione: ti chiamo amico perché per te mi comprometto, ci metto non “del mio”, ma me stesso, perché il tuo bene è il mio bene, il tuo successo è il mio successo, il tuo fallimento è il mio fallimento. Mostrarci amici dei ragazzi in questo modo è fondamentale per mostrare loro, da adulti, il carattere complesso ma promettente della vita, perché crescendo diventino uomini e donne autentici, così che, anche attraverso di noi, possano portare pienamente a frutto i doni e le capacità che ciascuno di loro possiede.

La Parola di Dio che oggi abbiamo ascoltato sia allora la nostra lampada per compiere questo cammino, certi che, fondati su di una roccia così salda e sicura, non abbiamo da temere inciampi e tentennamenti.  

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